La Croce Rossa dalla Grande Guerra al fascismo. Informazione, propaganda, arti e società civile (1915-192) a cura di Paolo VANNI e Fabio BERTINI, Milano, Franco Angeli, 2020, pp. 388, € 39

La Croce Rossa dalla Grande Guerra al fascismo. Informazione, propaganda, arti e società civile (1915-192) a cura di Paolo VANNI e Fabio BERTINI, Milano, Franco Angeli, 2020, pp. 388, € 39

La Prima Guerra Mondiale rappresentò per la Croce Rossa Italiana e Internazionale un momento di assoluta importanza nel quale crebbe enormemente il loro sviluppo. Questo fu dovuto non solo all’indiscussa operatività sui campi di battaglia ma anche alla crescente consapevolezza degli Stati e dell’opinione pubblica circa la centralità e le dimensioni mondiali che queste organizzazioni avevano ormai raggiunto.
Questa importante pubblicazione curata dai professori Paolo Vanni e Fabio Bertini intende esaminare sotto molteplici aspetti l’attività dell’associazione di volontariato più conosciuta nel mondo attraverso i contributi di autorevoli studiosi, ciascuno dei quali ha contribuito a descrivere e definire nella complessità il gigantesco ruolo avuto dalla CRI nella Grande Guerra.
La funzione della stampa durante la Prima Guerra Mondiale è ben nota a tutti, e tra i soggetti utilizzati in chiave propagandistica, la Croce Rossa fu uno di quelli sempre presente. La propaganda non era soltanto finalizzata al sostegno patriottico, ma era anche funzionale al grande affare dei finanziamenti volontari. La stessa Cri alimentava il fervore con appositi comitati di propaganda, finalizzati alla raccolta di fondi ma anche al reclutamento di nuovi soci. Man mano che la guerra mostrava il suo atroce volto, l’immagine della Croce Rossa si faceva sempre più realistica, impegnata in prima linea nel soccorso e provando a rimanere fedele, pure in un conflitto che trovava fondamento nell’esplosione dei nazionalismi, ai principi universalistici di Dunant. Il dualismo con la Sanità militare fu sempre accentuato ma andò mitigandosi man mano che gli anni di guerra mettevano a dura prova la tenuta dell’intero corpo civile dello stato, chiamato a enormi sacrifici perché in gioco vi era la sua stessa sopravvivenza. I numeri chiariscono immediatamente l’impegno della Croce Rossa: trecentomila soci, diciottomila uomini in servizio, seimila infermieri, cinquecento medici, sessantaquattro ospedali da guerra, ventidue treni ospedale, e oltre duecento ospedali territoriali con complessivi duecentomila posti letto all’interno dei quali operarono instancabilmente migliaia di infermiere volontarie, guidate dall’esempio della loro ispettrice generale, la duchessa Elena D’Aosta. Il tributo di sangue che l’associazione pagò è ben descritto nel dettaglio dall’autore, che delinea nel suo contributo anche il difficile periodo di transizione nella fase post bellica, il cambio ai vertici dal conte Della Somaglia, la breve parentesi Frascara fino alla presidenza di Giovanni Ciraolo. Nella nuova fase che si stava aprendo, la Croce Rossa assumeva il compito di organizzazione dei servizi sanitari: erano i primi passi di un riconoscimento di grande importanza, la trasformazione irreversibile che stava attraversando dall’originale missione quasi tutta improntata all’identità militare che aveva retto fino al conflitto verso una nuova dimensione assai più ampia e comprendente compiti civili strutturali che sconfinavano nella previdenza, la cura dell’infanzia, l’assistenza alla vecchiaia, la lotta antitubercolare, la medicina del lavoro, la gestione delle colonie, l’assistenza sanitaria, il soccorso nelle calamità, la prevenzione e la cura delle malattie epidemiologiche. Già nel 1920 si contavano infatti trenta comitati, centododici sottocomitati e oltre quattromila seicento delegazioni. Un’organizzazione come quella della Croce Rossa non poteva sfuggire al controllo dei fasci di combattimento, che gradualmente inserirono dei gerarchi all’interno del consiglio direttivo. Rappresentò così un ordine malcelato la richiesta di dimissioni consegnata da Ciraolo a scadenza di mandato, considerata anche la sua prestigiosa carica di presidente in campo internazionale. In realtà la sua maggiore colpa consisteva nell’appartenenza alla massoneria, invisa al fascismo. Dopo la breve parentesi Scotto, il nome di Giacomo Acerbo dovette sembrare un anello di congiunzione tra la Croce Rossa e il fascismo, essendo il futuro sottosegretario uno dei massimi artefici del regime e grande teorico del sistema corporativo cui anche la Cri fu costretta ad amalgamarsi.
La seconda parte del lavoro analizza la presenza della Cri nel periodo storico in esame attraverso la propaganda, le arti e la letteratura: da questo punto di vista, la figura universalmente riconosciuta della crocerossina venne fin dall’inizio esaltata dalla propaganda bellica ma contemporaneamente il loro sguardo sulla guerra veniva sempre più marginalizzato perché contemplava insieme alla gloria anche l’orrore reale dei campi di battaglia. Un’immagine come la definiscono Emmanuel Pesi e Maria Grazia Parri nei loro saggi, funzionale all’esaltazione dei valori nazionali e alla rimozione delle atrocità della guerra. Così come numerosi artisti testimoniarono con le loro creazioni il conflitto: la documentazione iconografica fu infatti immensa. Uno tra i tanti esempi è l’attività del complesso artista Maurizio Rava con i suoi disegni di guerra a favore della Croce Rossa, anticipatrice di quello che sarebbe oggi classificato come fund raising e ben descritta da Alberto Galazzetti nel suo saggio, così come quello di Carlo Perucchetti per quanto riguarda la musica e Alfonso Venturini per la cinematografia.
La terza parte esamina il dialogo con la società civile, con il saggio della professoressa Campagnano che traccia un quadro critico del rapporto tra propaganda e promozione: la Grande Guerra è stata infatti la prima dimostrazione su larga scala di come l’appoggio dell’opinione pubblica ai governi del proprio paese fosse fondamentale per la resistenza del fronte e per la coesione interna nei momenti più duri. Inoltre la ricerca di fondi era continua, perché la Cri nel corso della Guerra era diventata una complessa macchina da soccorso, in grado di arrivare ad assistere quasi un milione e mezzo di feriti. Il contributo di Sergio Goretti intende suscitare nuovi filoni di ricerca su una perenne discussione: la Croce Rossa è opera cristiana o massonica? Si potrebbe dire entrambe: Dunant fu ispirato dal Cristo sofferente, però successivamente e grazie al cuore dei risorgimenti nazionali con l’abbattimento delle tirannidi, l’idea del soccorso umanitario prese campo tra i fratelli massoni. D’altra parte grandi uomini di Cri italiana e internazionale furono massoni. Con dovizia di particolari l’autore ricostruisce fatti e circostanze che legarono i due mondi associativi attraverso l’azione pubblica di alcuni personaggi dalla comune appartenenza in un complesso periodo storico quale quello in esame. Iacopo Nappini traccia un interessante riassunto esteso sui parchi della rimembranza: attribuire ad un parco alberato il potente valore simbolico di rappresentare l’immagine di coloro che si erano sacrificati per la patria ebbe soprattutto nel primo dopoguerra un ruolo fondamentale nell’operazione di rendere duratura la pedagogia patriottica. In particolare ricordando quello della Croce Rossa di Firenze, riscoperto da Riccardo Romeo Jasinki.
Luigi Armandi esamina la collaborazione solidale tra scoutismo e Croce Rossa: la saldatura tra le due associazioni nacque sin dai rispettivi esordi nel nostro Paese essendo tra l’altro la seconda patrocinante della prima, e anche dopo la guerra i rapporti furono veramente ottimi. Non poteva inoltre mancare un approfondimento relativo all’organizzazione delle infermiere volontarie del corpo militare della CRI ed in particolare su quelle che supportarono da vicino l’instancabile opera della Ispettrice Generale, la duchessa Elena d’Aosta. Un’opera che con la sua complessità, originalità ma anche chiarezza contribuisce alla diffusione della storia di una tra le istituzioni più apprezzate dagli italiani.

Alessio Pizziconi